"Salviamo le nostre banche con l'Islam"
di V. Car. - Giornale "Il Caffé"
Mentre il Ticino continua a guardare troppo all'Europa per tenere in piedi la sua piazza finanziaria, il Lussemburgo si è gettato a capofitto sulle opportunità che possono arrivare dalla finanza islamica. E i risultati si vedranno nei prossimi anni. Ne è convinto Giancarlo Cervino, direttore del Centre for International Studies di Lugano: "Il ridimensionamento della piazza ticinese è un fenomeno che va al di là delle colpe del territorio, è legato a una tendenza globale figlia della crisi. Basta pensare che in Italia, per fare un esempio, sono scomparsi 400 istituti negli ultimi vent'anni. Il problema non è quindi soffermarsi sulla diagnosi, ma trovare una cura contro il declino. In questo senso il Lussemburgo sembra essere stato molto più reattivo della Svizzera, cogliendo già da oggi le opportunità di investimento che possono derivare dal saper gestire la finanza islamica".
Nella corsa ai nuovi mercati non c'è ovviamente solo il Medio Oriente. Saper offrire servizi esclusivi alla nuova classe dirigente cinese o indiana vuol dire aprire nuove opportunità di business ad alto valore aggiunto.
Oggi, d'altra parte, che ci sia la necessità di rifocalizzare la missione della piazza finanziaria lo dicono i numeri:
se dal '98 al 2005 la crescita del numero delle banche in Ticino è stato sostenuto, passando da 55 a 78, da lì in poi la lenta discesa si è presentata inesorabile, arrivando nel 2010 (ultimo dato disponibile) a 72 istituti. A livello nazionale una trentina di istituti sono in attesa di compratori, una decina in Ticino dove altrettante hanno chiuso. Ma non è solo la riduzione del numero a segnalare una situazione di pericolo, ma anche il passaggio di mano di proprietà e sportelli, che mostra come diversi soggetti non considerino più attrattiva la piazza.
"Finché c'è qualcuno disposto a comprare gli istituti in vendita il meccanismo funziona, ma per far questo bisogna intravedere il vantaggio competitivo di continuare a investire qui", spiega Valerio Agustoni, segretario cantonale di Sic Ticino.
"Per continuare a essere competitivi bisogna però anche saper formare nuovo personale, che conosca le culture e le lingue dei Paesi di provenienza dei nuovi potenziali clienti. Ancora più difficile è adeguare la normativa per poter attrarre capitali da alcune aree del mondo, come nel caso della finanza islamica", aggiunge Cervino. Se quella di puntare ai nuovi mercati è sicuramente una ricetta che può tornare utile, ci sono però fenomeni contro i quali anche una piazza competitiva non può lottare.
"È innegabile che la struttura finanziaria sia sovradimensionata rispetto al territorio - continua il segretario cantonale di Sic Ticino -: in una situazione come quella di oggi diventa facile per le banche di proprietà estera delocalizzare da quei territori che non si presentano più attrattivi. Questo non vuol dire che non ci siano sul territorio competenze e conocenze che andrebbero meglio valorizzate. Un altro elemento che sta creando grande incertezza è quello dei rapporti con l'Italia, nostro cliente privilegiato: finché non si capirà come andranno a finire gli accordi bilaterali molti potenziali clienti reteranno alla finestra".v.car.
[Articolo de "Il Caffè", del 15.04.2012]
Scrivici via Email:
lmticino@yahoo.fr
Mentre il Ticino continua a guardare troppo all'Europa per tenere in piedi la sua piazza finanziaria, il Lussemburgo si è gettato a capofitto sulle opportunità che possono arrivare dalla finanza islamica. E i risultati si vedranno nei prossimi anni. Ne è convinto Giancarlo Cervino, direttore del Centre for International Studies di Lugano: "Il ridimensionamento della piazza ticinese è un fenomeno che va al di là delle colpe del territorio, è legato a una tendenza globale figlia della crisi. Basta pensare che in Italia, per fare un esempio, sono scomparsi 400 istituti negli ultimi vent'anni. Il problema non è quindi soffermarsi sulla diagnosi, ma trovare una cura contro il declino. In questo senso il Lussemburgo sembra essere stato molto più reattivo della Svizzera, cogliendo già da oggi le opportunità di investimento che possono derivare dal saper gestire la finanza islamica".
Nella corsa ai nuovi mercati non c'è ovviamente solo il Medio Oriente. Saper offrire servizi esclusivi alla nuova classe dirigente cinese o indiana vuol dire aprire nuove opportunità di business ad alto valore aggiunto.
Oggi, d'altra parte, che ci sia la necessità di rifocalizzare la missione della piazza finanziaria lo dicono i numeri:
se dal '98 al 2005 la crescita del numero delle banche in Ticino è stato sostenuto, passando da 55 a 78, da lì in poi la lenta discesa si è presentata inesorabile, arrivando nel 2010 (ultimo dato disponibile) a 72 istituti. A livello nazionale una trentina di istituti sono in attesa di compratori, una decina in Ticino dove altrettante hanno chiuso. Ma non è solo la riduzione del numero a segnalare una situazione di pericolo, ma anche il passaggio di mano di proprietà e sportelli, che mostra come diversi soggetti non considerino più attrattiva la piazza.
"Finché c'è qualcuno disposto a comprare gli istituti in vendita il meccanismo funziona, ma per far questo bisogna intravedere il vantaggio competitivo di continuare a investire qui", spiega Valerio Agustoni, segretario cantonale di Sic Ticino.
"Per continuare a essere competitivi bisogna però anche saper formare nuovo personale, che conosca le culture e le lingue dei Paesi di provenienza dei nuovi potenziali clienti. Ancora più difficile è adeguare la normativa per poter attrarre capitali da alcune aree del mondo, come nel caso della finanza islamica", aggiunge Cervino. Se quella di puntare ai nuovi mercati è sicuramente una ricetta che può tornare utile, ci sono però fenomeni contro i quali anche una piazza competitiva non può lottare.
"È innegabile che la struttura finanziaria sia sovradimensionata rispetto al territorio - continua il segretario cantonale di Sic Ticino -: in una situazione come quella di oggi diventa facile per le banche di proprietà estera delocalizzare da quei territori che non si presentano più attrattivi. Questo non vuol dire che non ci siano sul territorio competenze e conocenze che andrebbero meglio valorizzate. Un altro elemento che sta creando grande incertezza è quello dei rapporti con l'Italia, nostro cliente privilegiato: finché non si capirà come andranno a finire gli accordi bilaterali molti potenziali clienti reteranno alla finestra".v.car.
[Articolo de "Il Caffè", del 15.04.2012]
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