ETICA ED ECONOMIA NELL'ISLAM
Di Maria Durzu
1.1 La proprietà e la ricchezza
Come accade in altre tradizioni religiose quali l’ebraismo ed il cristianesimo, anche l’islam integra nella fede i diversi aspetti dell’esistenza individuale, sociale e naturale, compreso l’agire economico. Tra i fondamenti dell’economia fondata sui principi e sui valori islamici, è da considerare la funzione sociale che l’Islam attribuisce alla proprietà e alla redistribuzione della ricchezza. In particolare alla Divinità appartiene, come unico proprietario assoluto tutto ciò che è nei cieli e sulla terra (es.Corano 225); l’uomo diviene amministratore fiduciario di quei beni o ricchezze, che dovrà usare “secondo la destinazione per la quale Dio li ha creati e li ha affidati all’umanità ” . Taluni principi rivelati nel Corano servono appunto per guidare ed ispirare tale amministrazione, prediligendo la generosità ed evitando l’avarizia, come prescrivono rispettivamente la Zakah (elargizione) ed la Ribah (usura).
1.2 Zakah: l’obbligo di elargire e donare.
Alla domanda : “Cos’è l’islam?” il Profeta Muhammad (saw) rispose: ” La purezza nel parlare e la carità”. la Zakat, o elargizione rituale, nel suo significato letterale coniuga l’idea di “elargizione” con quella di “purificazione”, e costituisce uno dei cinque pilastri dell’islam. Nel Corano l’esortazione al dono (sadaqa, volontario, e zakah, obbligatorio) è spesso menzionata insieme all’esortazione alla preghiera: in ventisette versetti del Corano l’ordine di pregare e di donare sono uniti, mentre in altri l’accumulo di ricchezza e l’egoismo nel godere dei suoi benefici: ” Satana vi minaccia la povertà e vi ingiunge l’avarizia, ma Dio vi promette perdono e abbondante grazia, perchè Dio è vasto sapiente” (Corano Sura Al Baqara/La Giovenca, v.268).
Non si tratta soltanto di una generosità materiale, ma di una vera e propria disposizione d’animo verso tutta la parentela e la comunità circostante: “Una parola gentile e di perdono è meglio di un’elemosina seguita da un’offesa; Dio è ricco e clemente. O voi che credete, non rovinate le vostre elargizioni rinfacciandole e offendendo, come colui che dona i suoi beni per farsi vedere dalla gente e non crede in Dio e nell’Ultimo Giorno. Di lui sarà come d’una roccia coperta di terriccio, che la colpisce un acquazzone e la lascia nuda”. (Corano Sura Al Baqara/La Giovenca v. 263-264).
La generosità materiale e questa disposizione fraterna verso la propria famiglia e gli altri uomini sono quindi fra i precetti fondamentali dell’economia islamica. La loro prima manifestazione è appunto la zakah, o elargizione rituale, ovvero l’obbligo di donare una parte delle proprie ricchezze soprattutto ai poveri, ai bisognosi, per riscattare i debitori, per il viandante e nella “lotta sulla via di Dio” (Corano Sura At-tawba/ Il pentimento, v. 60). Il Corano prescrive infatti la carità affinchè parte delle ricchezze ritornino al povero, come suo diritto legale ( Corano Sura Al Hashr/ L’Esodo, v. 7). Il Corano non indica le forme e la misura di questa redistribuzione, ma la zakah viene intesa nella tradizione musulmana come un’auto-tassazione da pagarsi sui patrimoni, mobili e immobili, variabile dal 2,5 al 20%, e comunque non equiparabile alle imposte statali.
1.3 Ribah: contro l’accumulo e l’usura
A completamento di questa generosità materiale e disposizione fraterna, il Corano pone il rifiuto dell’accumulo della ricchezza e dell’avarizia che gli corrisponde: “Orbene, a coloro che ammucchiano l’oro e l’argento e non lo spendono sulla via di Dio annuncia un castigo cocente. Il giorno in cui questi metalli saranno arroventati nel fuoco della gehenna e se ne imprimerà un marchio sulla loro fronte, sui loro fianchi e sui loro dorsi: “Ecco quel che ammucchiaste per voi! Gustatelo, ora che avete ammucchiato!” (Corano, Sura At-tawba/ Il pentimento 34-35) .
Spesso nel Corano il dare l’elemosina e la generosità sono poste in contrasto con il Ribah, che in arabo, dalla radice r b w, letteralmente significa “accrescimento” “aumento”. “Quel che voi prestate ad usura (ribah) perchè aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio. Ma quello che date in elargizione, bramosi del volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato (yurbi al_sadaqat)”. (Corano Sura Ar Rum/ I romani, v. 39).
Da notare che nella seconda parte del passo appena riportato il verbo raba_yardu è impiegato in senso positivo per sottolineare che Dio aumenterà i meriti di colui che è generoso con i poveri. Particolarmente severe sono infatti le parole dirette agli avari, a coloro che desiderino la ricchezza in sè, o per sè, ricercandola a detrimento del benessere altrui (Corano Sura An-Nisà/ Le Donne, v. 29). Coloro che praticano l’usura, il Giorno del Giudizio si leveranno come chi è reso epilettico dal tocco di Satana. Questo perchè essi hanno detto : “La compravendita (tijara) è come l’usura (ribah). Ma Dio ha permesso la compravendita ed ha proibito l’usura. (…)Dio priverà l’usura di ogni benedizione ma moltiplicherà i frutti delle elargizioni: Egli non ama le creature ingrate e perverse (…) O voi che credete! Temete Dio e lasciate ogni resto d’usura, se siete credenti". L’Islam è basato sui principi dell’unicità della Divinità, della libertà e della dignità dell’uomo, sulla loro uguaglianza in quanto creature sottoposte alla Divinità e sulla giustizia fra di loro e nella loro remunerazione. Questi elementi, fra gli altri, si riflettono nella concezione dell’islam, ed anche nella sua concezione della moneta. Dai versetti del Corano scaturisce infatti una specifica concezione del denaro. Quest’ultimo viene considerato come “un bene che non può legittimamente portare frutto a prescindere dall’attività umana, ovvero un denaro che non può essere destinato a fruttificare ed accumularsi, ma che deve essere speso per soddisfare bisogni individuali o sociali, propri o altrui; un denaro che ha alcun valore intrinseco, ma trova il suo scopo, la sua utilità, soltanto nel divenire un mezzo per fini altri da sè.
La storia economica è costellata di “ipocriti” (Corano Sura Al Munafiqun/ Gli ipocriti) che hanno svuotato l’ideale islamico di giustizia economica della propria essenza, lasciandone forme vane e financo paradossali. Ciò nonostante i principi del divieto islamico del ribah e l’obbligo morale della zakah si sono mantenuti intatti nel tempo, per quanto certe pratiche possano averli elusi con espedienti ed astuzie legali (hiyal). Non si deve d’altronde dimenticare che anche la storia economica di altre civilizzazioni sia costellata di ipocrisie analoghe, benchè si levino alte le voci di chi vorrebbe una maggiore coscienza e responsabilità rispetto alle generazioni future anche remote, e rispetto alla natura circostante e alla società in cui viviamo. La crisi finanziaria in corso dal 2007 sembra ricordare ad ogni credo economico che nessuna economia può risultare sostenibile, nè efficiente senza dare espressione alle esigenze individuali e sociali di fraternità, di unità e di solidarietà che avrebbero dovuto esprimersi attraverso l’intervento statale nell’economia e nella finanza . Tale crisi non rimette in discussione soltanto le speculazioni che caratterizzano i mercati finanziari ed il ruolo di questi ultimi nel sistema economico e sociale, ma anche il ruolo dello stato e di quel suo spendere basato sull’aumento costante del debito pubblico, mentre il singolo risparmiatore detiene infatti tale debito ricavandone un certo tasso di interesse e mantenendo intatto il capitale nominale, l’economia sociale beneficia di una redistribuzione di ricchezza che non è nè voluta nè cosciente, ma si traveste da debito eroso dall’inflazione.
Probabilmente sotto l’influsso dell’esperienza occidentale, anche la maggior parte delle teorie economiche, ispirate ai principi islamici attribuiscono ogni finalità olistica e solidale allo stato islamico. La duplice crisi a cui stiamo assistendo invita invece a ripensare i modi e le forme individuali e sociali che possano assumere l’equità, la solidarietà, la simpatia sociale, ovvero l’assistenza, la sanità, l’educazione, solo per nominare i territori di maggiore interesse. Nuovi studi ed esperienze potranno rinnovare queste finalità, articolando quella fraternità che anche l’economia islamica pone quale principio fondatore della relazione fra economia ed altri campi della vita.
Tratto da “Mondo Islam” n. 9
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