Burqa sì o burqa no? Un problema inventato
Da "Il Corriere del Ticino", 17.04.13
di MICHELA DELCÒ PETRALLI (deputata dei Verdi in Gran Consiglio)
Il Gran Consiglio deve decidere se vietare l'occultamento del volto nei luoghi pubblici. La proposta è stata formulata con un'iniziativa popolare costituzione promossa da Giorgio Ghiringhelli, con lo scopo evidente e dichiarato di vietare il burqa e il niqab. Il Consiglio di Stato e la maggioranza della Commissione parlamentare propongono di declassare la norma dal rango costituzionale a quello legislativo. Nemmeno così, tuttavia, il divieto convince. Mi hanno insegnato che il compito di ogni avvocato è prima di tutto difendere le libertà personali dall'ingerenza dello Stato. Quando lo Stato limita queste libertà deve giustificarne la necessità. Il bene che intende proteggere deve prevalere sui nostri diritti fondamentali e la misura proposta deve essere l'unica in grado di tutelare tale bene.
Governo e maggioranza commissionale si riferiscono, implicitamente, all'esigenza di riconoscibilità per aumentare la sicurezza durante dimostrazioni, riunioni e manifestazioni pubbliche. Ciò sarebbe assolutamente difendibile in diritto, poiché in tal caso il mascheramento potrebbe essere indizio di offensività. Ma la legge proposta oltrepassa tali ambiti e istituisce un divieto generalizzato di coprire il volto in tutti i luoghi pubblici. Questa estensione mi sembra immotivata e sproporzionata e quindi lesiva dei diritti personali nonché contraria alla politica di integrazione.
Non esiste un'esigenza di sicurezza o di ordine pubblico che possa giustificare tale imposizione. Quale indizio di offensività si può ravvisare in chi passeggia per le strade o va a fare la spesa? D'altra parte è ormai risaputo che il volto è un fattore di identificazione assolutamente fallace, ed è per questo che il riconoscimento ottico e le impronte digitali hanno da tempo sostituito la fotografia. Il divieto assoluto non è nemmeno l'unica soluzione per proteggere l'ordine pubblico o la sicurezza. Già oggi la polizia dispone di sufficienti strumenti legali per l'identificazione delle persone; dove mancano, si stanno prevedendo. Ne è un esempio il Concordato per prevenire la violenza durante le manifestazioni sportive che il Gran Consiglio ha appena approvato. Non credo nemmeno all'effetto preventivo o dissuasivo di tale misura. Non sarà la paura di una contravvenzione a fermare chi intende violare il diritto penale, rischiando una pena ben più severa di quella proposta con la modifica di legge.
Quella del terrorista che si muove sotto il burqa o il niqab è una leggenda metropolitana. Che bisogno c'è di nascondersi sotto una tenda se le bombe moderne si possono nascondere nel fazzoletto o nella borsetta? Ci sono mai stati in Svizzera e in Ticino episodi di violenza nati sotto il burqa? Questa legge sarà applicata coerentemente a tutti i cittadini? Quale garanzia di parità di trattamento ci offre? Dovremo rinunciare alla moda dei grandi occhiali da sole? Al cappello calato sugli occhi, al foulard o alla sciarpa d'inverno?
Saremo tutti puniti, o puniremo solo le donne musulmane? Gira e rigira la proposta di legge, che la si voglia di rango legislativo o di rango costituzionale, finirà con l'applicarsi a loro soltanto. È quindi una legge discriminatoria, che ci mette in aperta opposizione a una cultura diversa dalla nostra e in contrasto con la politica di integrazione e accoglienza. Qual è allora il bene da difendere?
Vi è chi sostiene che il burqa sia lesivo della dignità e dei diritti della donna, altri ritengono che il burqa impedisca l'integrazione. Per quale ragione ci si preoccupa della dignità delle donne musulmane e non anche della nostra dignità? L'uso che facciamo in Occidente del corpo delle donne,
esponendolo a pezzi e bocconi, come quarti di macelleria, non è forse lesivo della dignità delle donne? L'anoressia e la chirurgia estetica a cui molte donne ricorrono per conformarsi ed appiattirsi sullo stereotipo maschile della bellezza femminile, non è forse conseguenza di una società sessista che oggettivizza le donne e offende la nostra dignità? Dove finisce la libertà della donna occidentale di scegliere che uso fare del proprio corpo e dove inizia la dominazione maschile? Secondo quale criterio solo le donne musulmane devono essere salvate?
Per non parlare di un altro stereotipo che è quello di sostenere che le donne indossano il burqa perché costrette. Non nego che anche in Europa vi siano casi di costrizione, ma ci sono anche donne che lo portano volontariamente per una questione di identità culturale. Già soltanto questa constatazione è giuridicamente sufficiente per impedirci di imporre una limitazione della libertà personale.
Se si vuole veramente difendere la libertà delle donne di decidere se coprirsi o no il volto sono altre le misure da adottare. L'unica disposizione dell'iniziativa che andava in questo senso, prevedendo una sanzione per chi obbliga la donna a portare il velo integrale, è stata invece tolta nel progetto legislativo proposto dalla maggioranza. Si è salvato solo il divieto del burqa e la punizione per chi lo porta, ma si è rinunciato a punire chi obbliga le donne a farne uso.
Anche l'equazione Islam-burqa è fuorviante. La maggior parte delle donne musulmane, fuori e dentro l'Europa, non indossa il burqa. Si tratta di argomenti controproducenti, che rafforzano gli stereotipi dell'Islam come cultura intrisa di valori incompatibili con i nostri e della donna musulmana sottomessa e discriminata. Come sostengono molte studiose del mondo musulmano l'emancipazione della donna musulmana può avvenire mediante l'uso del velo, o mediante il suo rifiuto, poiché il velo può avere un significato personale secolare o religioso, può rappresentare tanto la tradizione, quanto l'emancipazione e la lotta.
Dovremmo chiederci se un divieto assoluto favorisca l'integrazione. Il mio timore è che simili divieti non possano che sortire l'effetto opposto a quello dichiarato, vale a dire la scomparsa della donna dallo spazio comune e pubblico, a maggior ragione se costretta da altri a indossare il burqa. L'integrazione è un processo reciproco che non impone alle altre culture un appiattimento sul nostro modo di vivere. Non possiamo decidere cosa è meglio per gli altri sulla base di una visione etnocentrica L'integrazione implica sforzi ben più ampi e articolati che con il divieto assoluto non hanno nulla a che vedere.
La Gran Bretagna, dove si stima che le donne velate siano centomila, ha rifiutato il divieto e scelto la tolleranza. Per quale ragione in Ticino, dove l'unica donna velata apparsa in pubblico era quella che si portava in giro l'iniziativista, dovremmo scegliere l'intolleranza? Quale ragione pesa di più nella nostra tradizione democratica: la difesa della libertà personale o la paura del diverso?
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Il Gran Consiglio deve decidere se vietare l'occultamento del volto nei luoghi pubblici. La proposta è stata formulata con un'iniziativa popolare costituzione promossa da Giorgio Ghiringhelli, con lo scopo evidente e dichiarato di vietare il burqa e il niqab. Il Consiglio di Stato e la maggioranza della Commissione parlamentare propongono di declassare la norma dal rango costituzionale a quello legislativo. Nemmeno così, tuttavia, il divieto convince. Mi hanno insegnato che il compito di ogni avvocato è prima di tutto difendere le libertà personali dall'ingerenza dello Stato. Quando lo Stato limita queste libertà deve giustificarne la necessità. Il bene che intende proteggere deve prevalere sui nostri diritti fondamentali e la misura proposta deve essere l'unica in grado di tutelare tale bene.
Governo e maggioranza commissionale si riferiscono, implicitamente, all'esigenza di riconoscibilità per aumentare la sicurezza durante dimostrazioni, riunioni e manifestazioni pubbliche. Ciò sarebbe assolutamente difendibile in diritto, poiché in tal caso il mascheramento potrebbe essere indizio di offensività. Ma la legge proposta oltrepassa tali ambiti e istituisce un divieto generalizzato di coprire il volto in tutti i luoghi pubblici. Questa estensione mi sembra immotivata e sproporzionata e quindi lesiva dei diritti personali nonché contraria alla politica di integrazione.
Non esiste un'esigenza di sicurezza o di ordine pubblico che possa giustificare tale imposizione. Quale indizio di offensività si può ravvisare in chi passeggia per le strade o va a fare la spesa? D'altra parte è ormai risaputo che il volto è un fattore di identificazione assolutamente fallace, ed è per questo che il riconoscimento ottico e le impronte digitali hanno da tempo sostituito la fotografia. Il divieto assoluto non è nemmeno l'unica soluzione per proteggere l'ordine pubblico o la sicurezza. Già oggi la polizia dispone di sufficienti strumenti legali per l'identificazione delle persone; dove mancano, si stanno prevedendo. Ne è un esempio il Concordato per prevenire la violenza durante le manifestazioni sportive che il Gran Consiglio ha appena approvato. Non credo nemmeno all'effetto preventivo o dissuasivo di tale misura. Non sarà la paura di una contravvenzione a fermare chi intende violare il diritto penale, rischiando una pena ben più severa di quella proposta con la modifica di legge.
Un rapinatore non rinuncerà mai alla maschera solo per paura di ricevere una multa |
vietato? |
Saremo tutti puniti, o puniremo solo le donne musulmane? Gira e rigira la proposta di legge, che la si voglia di rango legislativo o di rango costituzionale, finirà con l'applicarsi a loro soltanto. È quindi una legge discriminatoria, che ci mette in aperta opposizione a una cultura diversa dalla nostra e in contrasto con la politica di integrazione e accoglienza. Qual è allora il bene da difendere?
Vi è chi sostiene che il burqa sia lesivo della dignità e dei diritti della donna, altri ritengono che il burqa impedisca l'integrazione. Per quale ragione ci si preoccupa della dignità delle donne musulmane e non anche della nostra dignità? L'uso che facciamo in Occidente del corpo delle donne,
esponendolo a pezzi e bocconi, come quarti di macelleria, non è forse lesivo della dignità delle donne? L'anoressia e la chirurgia estetica a cui molte donne ricorrono per conformarsi ed appiattirsi sullo stereotipo maschile della bellezza femminile, non è forse conseguenza di una società sessista che oggettivizza le donne e offende la nostra dignità? Dove finisce la libertà della donna occidentale di scegliere che uso fare del proprio corpo e dove inizia la dominazione maschile? Secondo quale criterio solo le donne musulmane devono essere salvate?
Per non parlare di un altro stereotipo che è quello di sostenere che le donne indossano il burqa perché costrette. Non nego che anche in Europa vi siano casi di costrizione, ma ci sono anche donne che lo portano volontariamente per una questione di identità culturale. Già soltanto questa constatazione è giuridicamente sufficiente per impedirci di imporre una limitazione della libertà personale.
Se si vuole veramente difendere la libertà delle donne di decidere se coprirsi o no il volto sono altre le misure da adottare. L'unica disposizione dell'iniziativa che andava in questo senso, prevedendo una sanzione per chi obbliga la donna a portare il velo integrale, è stata invece tolta nel progetto legislativo proposto dalla maggioranza. Si è salvato solo il divieto del burqa e la punizione per chi lo porta, ma si è rinunciato a punire chi obbliga le donne a farne uso.
Anche l'equazione Islam-burqa è fuorviante. La maggior parte delle donne musulmane, fuori e dentro l'Europa, non indossa il burqa. Si tratta di argomenti controproducenti, che rafforzano gli stereotipi dell'Islam come cultura intrisa di valori incompatibili con i nostri e della donna musulmana sottomessa e discriminata. Come sostengono molte studiose del mondo musulmano l'emancipazione della donna musulmana può avvenire mediante l'uso del velo, o mediante il suo rifiuto, poiché il velo può avere un significato personale secolare o religioso, può rappresentare tanto la tradizione, quanto l'emancipazione e la lotta.
Dovremmo chiederci se un divieto assoluto favorisca l'integrazione. Il mio timore è che simili divieti non possano che sortire l'effetto opposto a quello dichiarato, vale a dire la scomparsa della donna dallo spazio comune e pubblico, a maggior ragione se costretta da altri a indossare il burqa. L'integrazione è un processo reciproco che non impone alle altre culture un appiattimento sul nostro modo di vivere. Non possiamo decidere cosa è meglio per gli altri sulla base di una visione etnocentrica L'integrazione implica sforzi ben più ampi e articolati che con il divieto assoluto non hanno nulla a che vedere.
l'unica con il Burqa in Ticino |
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