Imparare l'Islam a scuola per prevenire il vandalismo e l'estremismo

«L’Islam va insegnato nelle scuole pubbliche»

L’imam di Viganello: ecco la vera prevenzione


Corriere del Ticino, 03.06.2013
Gli attentati dei terroristi fai da te che sostengono di ispirarsi all’Islam per compiere le loro nefandezze turbano anche i musulmani di casa nostra. Lo attesta, nell’intervista che segue, anche Samir Jelassi, imam della Lega dei musulmani in Ticino, che ha la sua sede e la sua moschea in via Bottogno 12 a Viganello.

Imam Jelassi, dopo gli attentati di Londra e di Boston la questione dei musulmani è tornata ad essere vista come un’emergenza in Occidente. 
«È vero, ma la cosa non andrebbe né generalizzata né strumentalizzata contro la comunità musulmana. Personalmente, come imam denuncio sempre la violenza estremista e terrorista. È un principio che non si deve nemmeno discutere. È un allarme che in un qualche modo dovrebbe aprire il dossier sull’Islam».

Quale dossier, che cosa vuol dire? 
«Vuol dire che l’Islam oggi è una realtà in Europa. Ci sono 40 milioni di musulmani nel nostro continente. Il problema che mi sembra vada risolto è di riconoscere che i musulmani sono dei cittadini, una componente della nostra società occidentale ed europea. Non sono né individui extraterrestri, né cittadini di seconda o terza categoria. Del resto, il rapporto presentato di recente dalla Confederazione (vedi articolo principale, n.d.r.) dimostra che i musulmani sono bene integrati nel nostro Paese e non pongono problemi. Sono cittadini che fanno il loro lavoro, che pagano le tasse, che rispettano le leggi, che credono alla convivenza pacifica, al dialogo, al rispetto vicendevole. I loro diritti sono garantiti dalla Costituzione svizzera. Ci vuole quindi una vera apertura nei confronti dell’Islam, che può essere dimostrata attraverso diversi atti».

Quali? 
«Per esempio insegnando l’Islam nella scuola pubblica. Occorre dare ai musulmani di seconda e terza generazione la possibilità di conoscere l’Islam in modo giusto, corretto, equilibrato, perché non diventino prede di manipolazione da parte di nessuno. Solo così possiamo impedire che i giovani musulmani che vivono in Occidente non cadano nelle trappole di gruppi o individui estremisti».

Ma, al di là della propaganda estremista, cosa spinge giovani integrati in Occidente a compiere gesti simili? 
«Non bisogna scordare un contesto internazionale assai delicato ed esplosivo. Non dimentichiamo, per esempio, quello che sta succedendo in Siria. Sono fatti che confondono l’opinione pubblica, anche quella musulmana».



A proposito di opinione pubblica musulmana: si discute di questi fatti all’interno della vostra comunità?
«Certo che se ne discute. E posso dire che siamo tutti scioccati. Stupiti. Condanniamo con fermezza questi atti che in nessun caso danno la vera immagine dell’Islam. Anzi danneggiano l’immagine dell’Islam e dei musulmani. Anche i musulmani, in un qualche modo, sono vittime di questi attacchi. Come musulmano mi sento toccato, ferito da questi fatti. La mia è una religione di pace e di rispetto dell’ordine e delle leggi».

Ma allora perché i terroristi di Londra, di Lione e di Boston sostengono di essere ispirati dall’Islam?
«Si tratta di fenomeni isolati. Chi li compie o è manipolato, oppure è prigioniero delle proprie interpretazioni smarrite e false. L’Islam non spinge nessuno a commettere atti barbari. Il Corano invita alla pace, al dialogo e al rispetto. Le immagini che sono state trasmesse dopo l’attentato di Londra sono orribili. Posso sentire il dolore delle famiglie e del popolo inglese. Posso sentire anche la preoccupazione delle popolazioni occidentali. Ma dico anche: non generalizzate, questi non rappresentano l’Islam. E ai politici dico: non approfittate di questi fatti isolati per strumentalizzare questi casi».

D’accordo, ma allora che cosa si può fare?
«Ripeto, ci sono dei problemi da risolvere: questi giovani hanno bisogno di un’educazione, di ricevere l’Islam nella sua versione originale senza che cadano fra le braccia di gruppi estremisti».

Sì, ma il fatto che questi ragazzi siano attratti da gruppi o da ideologie terroristici sta a significare che queste realtà sono attive e presenti anche in Occidente.
«Il discorso non è quello. Oggi, complice la globalizzazione, il mondo virtuale arriva dappertutto. E chiunque può cercare sul web informazioni di qualsiasi tipo senza avere una guida che spieghi, orienti, discuta con lui. Ecco perché lo Stato dovrebbe assegnare un ruolo importante alle moschee per impedire tutti i tentativi di manipolazione ai danni di giovani che non conoscono, non sanno, hanno un vuoto. Che viene poi riempito o con tesi manipolatorie o con atti di vandalismo, come avviene nelle banlieues di certe grandi città francesi».

Anche in Svizzera c’è questo vuoto?

«In Svizzera direi che non è più possibile fingere che non ci siano stati dei grandi studi da parte delle Università e dei centri di studio elvetici – riconosciuti anche dalla Confederazione – che attestano l’ottima integrazione dei musulmani nel nostro Paese. Proprio per questa ragione il mio messaggio ai politici che a volte strumentalizzano certe notizie è: fate attenzione e non amplificate la propaganda contro i musulmani e contro l’Islam perché non porta da nessuna parte. Anzi, da una parte, in realtà, porta: alla radicalizzazione di alcuni giovani musulmani che si sentono discriminati per ignoranza».

Fanno discutere le dichiarazioni di Nicholas Blancho (vedi articolo principale), svizzero convertito all’Islam, che avrebbe giustificato i mariti che picchiano le mogli. Cosa ne pensa?
«Certe affermazioni in realtà non riguardano l’Islam. Sono affermazioni che riguardano solo chi le dice. In 14 secoli di storia l’Islam non ha mai chiesto di trattare male le donne. Al contrario. A Blancho bisognerebbe chiedere qual è il suo obiettivo, il suo progetto. A me risulta che i musulmani svizzeri siano persone che credono nella convivenza pacifica col resto della società. Il fenomeno Blancho andrebbe indagato meglio. Non dimentichiamo che la sua associazione è sorta dopo il voto doloroso sui minareti in Svizzera»

Corriere del Ticino, Lunedì 3 Giugno 2013

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